Il tour nei "club"


Ivano Fossati all'Alcatraz di Milano: il coraggio di cambiare


Di per sé è già una notizia: Ivano Fossati torna a cantare dal vivo “La canzone popolare”. E lo fa in un finale ad alto tasso energetico di un concerto tutto ad altissimo tasso energetico. Il titolo potrebbe essere: “la canzone ritrovata nel live del rock ritrovato”. Di fatto sarebbe stato un peccato che una canzone bellissima rimanesse in soffitta perché ceduta alla politica. Poi ognuno ha vissuto quel finale di concerto un po’ come ha voluto. 

C’è chi, come me, a sentire i tamburi che ti dicono “alzati che si sta alzando” nel giorno delle dimissioni di Silvio Berlusconi ha provato una sensazione di festosità interiore, quella che abbiamo represso in tutti questi giorni della famosa “vittoria risicata”... Magari è stato lo stesso per quel signore del pubblico che ha gridato a Ivano “sei uno stupendo coglione!” (e Ivano, sorridendo sornione, “come posso negarlo?). C’è chi invece avrà lasciato fuori dalla porta dell’Alcatraz la politica e avrà semplicemente gioito nel ritrovare una canzone che è anche incidentalmente l’inno dell’Ulivo, ma è soprattutto una meravigliosa espressione del talento fossatiano.

Che è il talento di un signore a cui piace cambiare, contaminare, esplorare. Che è il talento di un signor musicista dalle tante anime (rock, jazz, pop, cantautorale) che può scegliere, di volta in volta, quale fare emergere. In questo primo assaggio di tour nei club ha scelto di far riemergere la sua vena rock.

E certo faceva un certo effetto assistere a un concerto di Ivano in piedi. Faceva un certo effetto vedere spettatori ultracinquantenni muoversi con un certo disagio sotto le luci dell’Alcatraz. Ma tant’è. Alla fine è piaciuto a tutti per una volta stringersi attorno al palco, muovere qualche incerto passo di danza, cantare a squarciagola. Il concerto mette fuori gioco la parodia di Zelig, quella che gioca sullo stereotipo del cantautore ingessato e noioso, intimista e supponente.

Quello che si è mosso sul palco dell’Alcatraz era un cantautore sorridente, che si diverte a ritrovare sonorità ruvide, che manda in soffitta (per ora, ovviamente) arpe celtiche e cornamuse, dando spazio a un concerto prevalentemente chitarristico, molto elettrico, molto percussionistico. Solo una breve parentesi, nei bis, per Ivano da solo al pianoforte (“Lindbergh” e “Vola”), poi quasi sempre chitarra al collo e canzoni “svelte”. L’ultimo cd, “l’Arcangelo”, aveva preannunciato la svolta. In questo concerto serve solo da punto di partenza, perché poi l’esplorazione alla ricerca della vena rock va anche molto indietro nel tempo. Così si ritrovano gioielli come “Ventilazione”, “Traslocando”. E ovviamente, “La musica che gira intorno”. E poi “Ragazzo mio” di Luigi Tenco. Quattro soltanto le canzoni dell’Arcangelo proposte live: “Cara democrazia” (suonata quasi in un unicum insieme a “La bottega di filosofia”), “Ho sognato una strada”, “L’arcangelo” e “Denny”.

Anche “Smisurata preghiera”, nel contesto di alto volume di tutto il concerto, acquista una rinnovata energia, una forza che nel tour acustico le mancava. E ritrova la sua natura di invettiva, con quel testo meraviglioso.

I classici, poi, ci sono sempre. Ed è bello ritrovarli: “Panama”, “Mio fratello che guardi il mondo”, “La Madonna nera”, “In questi posti davanti al mare” (questa per me una delle cose migliori della serata, ma è un fatto di amore sviscerato per questa canzone, nel mio caso...). E chiusura, come si diceva, con il gioiello ritrovato “La canzone popolare”.

Si riaccendono le luci. Ci guardiamo attorno. Siamo gli stessi che di solito assistono seduti ai concerti di Ivano. Siamo un po’ stanchi, qualche occhiale un po’ storto, qualche camicia un po’ stropicciata. Ma c’è molta gioia nell’aria. Ci sarà tempo per tornare a sedersi a teatro. Stasera ci siamo fatti coinvolgere nel gioco di Ivano. Come lui, abbiamo trovato il coraggio di cambiare. O di ritrovare. 

Silvano Rubino
(da Bielle.org)

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