Macramè - La Conferenza Stampa


Le raffinate trame di Fossati

Uscirà il 9 maggio, "Macramè", il nuovo album di Ivano Fossati. Il cantautore lo presenterà domani mattina a Milano (nel pomeriggio, in
questa area news potrete leggere il resoconto della conferenza stampa).
Noi di Rock Online Italia, però, siamo in grado di raccontarvi in anteprima cosa contiene. Undici i brani in scaletta, più due frammenti
dalle "Lettere portoghesi" letti da Mercedes Martini.
Il titolo dell'album si rifà all'antica arte araba (apparsa nel XII secolo) e poi turco-ottomana dell'intreccio e annodatura di fili e cordoncini
in trame ornamentali raffinate e preziose. Il suo nome deriva dall'arabo mahramatun (fazzoletto) e migramah (frangia), e dal turco makrama
(asciugamano, fazzoletto o piccolo tessuto di pregio decorato a frangia). L'arte del macramè sopravvive in Spagna (nella zona di
Barcellona) e nella Liguria orientale.
Accanto a Fossati figurano musicisti di gran livello come Beppe Quirici (che è anche il produttore di "Macramè"), Stefano Melone, Mario
Arcari, Trilok Gurtu, Riccardo Tesi, Walter Keiser, Tony Levin, Lucio Bardi, Claudio Fossati, Naco e le Vocinblù. Tutti personaggi che
hanno portato nel lavoro anche la loro specifica cultura musicale; il proprio filo di storia che è andato ad intrecciarsi con quelli degli altri,
costruendo - proprio come nel macramè - una trama ornamentale raffinata e preziosa.
Già, perché in questo lavoro si mescola jazz e musica popolare (mediterranea, africana, europea...), rock e canzone d'autore.
Ad aprire l'album è La vita segreta seguita da Il canto dei misteri, L'amante, L'abito della sposa, L'angelo e la pazienza, Labile,
Bella speranza (ti telefono da una guerra), L'orologio americano, Stella benigna (la ragazza senza onore), La scala dei santi e
Speakering.
Tutti i testi, di rara bellezza, sono orientati verso la sfera dei sentimenti più privati. «E' la prima volta - ha dichiarato Fossati - che oso così
tanto. Che uso parole e racconto cose così personali». Il risultato, ve lo possiamo assicurare, è grande.
(Da RockOnLine - 7 maggio 1996)



Fossati: «Andiamo verso il futuro ma imparando a ricordare di più»

«Vorrei cominciare dalla piccola idea dei nodi e del tessuto perché mi sta molto a cuore». Ivano Fossati ha aperto così l'incontro stampa
di oggi, nella sede della Provincia di Milano, voluto per presentare il suo nuovo album "Macramè" (il cui titolo si rifà all'antica arte
araba - apparsa nel XII secolo - e poi turco-ottomana dell'intreccio e annodatura di fili e cordoncini in trame ornamentali
raffinate e preziose. Un'arte che sopravvive in Spagna e nella Liguria orientale).
Ecco il resoconto dell'incontro aperto, come detto, da Fossati, il quale ha così proseguito: «Quando mi sono messo a lavorare a questo
album ho pensato alla facilità, mia e di tutti, con cui dimentichiamo le cose, i sentimenti e le persone. E a come ormai sembriamo incapaci
di trattenere le cose, i sentimenti; perfino la paura. Siamo diventati tutti coraggiosi, forse perché riflettiamo poco. Un modo per raccontare
questo mio timore era simboleggiarlo con i nodi di una rete. In fondo nella vita continuiamo tutti ad annodare e snodare in continuazione...
Io ho una grande paura di dimenticarmi le cose le persone. Pensate, ci siamo dimenticati tutti anche la guerra che era così vicina a noi.
Tutti presi come siamo a fare subito posto al nuovo... Mi rendo conto che non possono bastare il disco o le mie parole a lanciare
l'allarme. ma vi assicuro che la mia riflessione è vera - non mi piace il termine seria... Ecco: con questo album ho cercato di rieducarmi a
ricordare meglio. E questo è il primo e il più importante nodo del mio macramè».
Quali sono gli altri nodi?
«Come nel macramè i fili importanti sono tre: 1) tentare di non dimenticare; 2) contemporaneamente incastrarsi, intrecciarsi l'uno con
l'altro, imparando a pensare al tempo stesso da vincenti e da perdenti; 3) imparare a fare coesistere la rete dei ricordi con quella
telematica dell'attualità (Internet - ndr)».
Di fronte a questa riflessione viene da pensare che ormai la forma canzone sia ormai troppo stretta per una persona come te
che tende verso riflessioni così profonde?
«Credo che ognuno possa e debba fare della forma canzone l'uso che riesce a fare. Noi artisti siamo talmente fortunati come manipolatori
di suoni e di parole che possiamo farci stare dentro pensieri molto larghi. Il rischio, semmai, è di farci stare troppo. O di farcelo stare
male. Io amo moltissimo la canzone tradizionale, ma sono curioso, ho 45 anni e quindi tendo a 'slargarla'. Non sto pensando di scrivere
libri - è già difficile far bene il mio mestiere - ma voglio percorre strade artistiche sempre più oblique».
Sei soddisfatto della tua collaborazione con De André?
«Sì, sono molto contento: abbiamo scritto insieme nove canzoni di cui sono orgoglioso... spero lo sia anche lui. Comunque, per rispetto di
Fabrizio non voglio anticipare nulla del suo album che, come saprete, uscirà a settembre».
Quindi, come si evince anche ascoltando il tuo album, sei in una fase di cambiamento?
«Sì, voglio muovermi. Con i due album dal vivo, infatti, penso di aere chiuso un sipario. E ora riparto con maggiore leggerezza. Sfrutto
completamente tutta la libertà che ho».
Il fatto che la tua "Canzone popolare" sia stata utilizzata come inno dall'Ulivo, non rischia di limitare la tua libertà,
etichettandoti in maniera precisa?
«Dipende solo da me. Dal mio comportamento. Per me, è una piccola cosa. Molto più piccola di tutte le parole che ha suscitato e che
suscita».
Visto che dipende da te, che uso ne farai?
«Non ne farò nessun uso... D'altronde se facessi politica mi verrebbe in mente di tutto tranne che occuparmi di scegliere una canzone che
faccia da traino al mio partito. Evidentemente è la dimostrazione che non capisco molto di come si faccia politica oggi».
Torniamo al tuo nuovo album. Come lo definiresti?
«Un disco incosciente, per certi versi coraggioso. Tecnicamente molto diverso dai miei precedenti. E con linguaggi musicali distanti dai
miei abituali. Merito dei tanti ospiti che vi hanno suonato. E che sono solo una parte di quelli che avrei voluto. Se avessi avuto più tempo a
disposizione, mi sarebbe piaciuto chiamare anche Enrico Rava e Jan Garbarek».
Nella serie di nodi cui accennavi all'inizio c'è anche l'avere suonato con tuo figlio Claudio?
«Certo. C'è un filo invisibile che ci lega. Me ne accorgo dall'estrema facilità con cui suoniamo insieme».
A proposito di nodi e di reti. E' possibile un parallelo tra la rete della memoria, che tu vorresti avesse più peso, e la rete
telematica?
«Certo. Io sono curioso del futuro. Voglio sapere cosa succederà e con quali mezzi. Internet ce ne fa intravedere uno. A cui non ha senso
ribellarsi, anche perché contiene molte cose buone».
La tua voglia di muoverti a qualcosa a che fare con una specie di mania della fuga?
«E' difficile dirlo. Ma è vero che io fuggo dalle cose che mi bloccano. I miei lavori precedenti, per esempio, per certi versi mi bloccano.
Mi fanno sentire meno leggero. Mentre io voglio essere leggero».
Dici che vuoi essere leggero ma anche che non dobbiamo dimenticare. Non pensi che molti tendano invece a dimenticare
proprio per non farsi appesantire dai ricordi?
«No. Per me i ricordi non pesano molto in questo senso molto. E quindi si può correre liberamente senza dimenticare....».
Spesso alla base dei tuoi dischi ci sono state letture importanti. E' accaduto anche in questo caso?
«Io rimango stupito di come nel nostro Paese la musica dei cantautori consideri così poco la poesia contemporanea. Secondo me, invece,
noi dobbiamo ai potei molto più di quanto pensiamo. Per quel che riguarda il mio disco, mentre lo componevo ho letto molto di
Sanguineti. Non per copiare, ma per ricevere quell'energia, quel coraggio e quella profondità che ti spinge a scrivere ance cose
lontanissime da quelle che stai leggendo. In questo senso i nostri poeti sono fondamentali: aiutano a scrivere».
Hai mai avuto il timore di esserti mosso troppo?
«Ogni volto che penso di essermi mosso troppo o male, ripenso all'album "Nefertiti" di Miles Davis, pubblicato nel 1965, e mi torna il
coraggio. Ogni volta che ascolto qualcosa di veramente importante provo una specie di spavento. Che può spingerti in due direzioni:
verso la frustrazione e verso il coraggio. A me, per fortuna, quasi sempre spinge verso il coraggio».
Quali sono gli 'spaventi' più forti della tua vita?
«Quando ho visto, al Parco di Nervi, l'orchestra di Duke Ellington. Avevo 18 anni. Fu l'ultima volta che Ellington si esibì in Italia. Ma
anche quando ho scoperto che l'America produceva anche Randy Newman».
L'incontro con Fossati termina qui. Con l'annuncio delle prime due date del suo tour italiano: il 25 giugno, a Torino, in piazza San Carlo; e
il 27 giugno al Festival di Villa Arconati alle porte di Milano
((Da RockOnLine - 8 maggio 1996)

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