L'Arcangelo - rassegna stampa


Fossati, L'Arcangelo 
Politica, storie, sogni, amore e un ritorno al rock che passa per ritmi latinamericani. 
Il nuovo album, canzone per canzone

Avete presente il Fossati incupito e assorto, ponderato e ponderoso? Ecco, dimenticatelo, o quasi. Già nel disco precedente, Lampo viaggiatore, il fiore aveva iniziato a dischiudersi al sole, e nel nuovo L'Arcangelo si continua. Intendiamoci, non c'è superficialità, anzi, ci sono prese di posizione politiche e sociali molto precise, che poi, a pensarci bene, sono aperture anche quelle. Le parole sono meno dense di un tempo e la musica flirta con il rock, vecchio amore ripudiato e ora tornato (a quando di nuovo La mia banda suona il rock dal vivo?) ma anche con certi movimenti latinamericani e reggae. Gli arrangiamenti sono del figlio di Fossati, Claudio, e di Pietro Cantarelli, le canzoni undici. 
Ho sognato una strada
"Ho sognato una strada/ Che si ferma su un ponte": inizia così, il disco. La musica sa di anni Settanta, quelli di Fossati. C'è pure un assolo di sax, di quelli artigianali, come si facevano una volta. Il testo parla di guerra, va ad aggiungersi ai tanti sul tema già scritti dal cantautore ligure. Un soldato che scappa, spera, scappa, sogna, e "basterebbe una parola/ in bocca all'angelo/di Dio". Per salvarsi. 
Denny
Forse la cosa migliore dell'album, certamente una di quelle che resteranno. Una storia d'amore quasi impercettibilmente omosessuale, in mezzo alla quotidianità, alla sveglia alle sei, alla "normalità", al lavoro e al datore di lavoro, al "Nessuno sa e nessuno/ Nemmeno capisce/ Nessuno vede l'amore/ Nessuno lo intuisce". E il non poterlo dire, gridare. Per una volta la musica (melodia leggera e velata) non è di Fossati ma di Pietro Cantarelli. Il testo è nato dopo averne cestinati diversi.
Cara Democrazia
Se n'è già parlato molto. Una dichiarazione chiara e forte, persino un po' didascalica, frasi scandite, concetti chiari. La musica non conquista particolarmente, tranne per la chitarra elettrica e tagliente; e il finale.  
L'amore fa
Diciamolo: se l'avesse cantata qualcun altro, una canzone così, magari a Sanremo, non ce ne saremmo accorti. Il testo sfiora pericolosamente il luogo comune, e qualche volta ci finisce dentro. La musica accompagna. Almeno un paio di versi da salvare però ci sono: "(L'amore fa) bellissima la stanchezza", "Comprendere il perdono/ l'amore fa". Per il resto, l'amore fa: scrivere anche pezzi così. 
L'arcangelo
Percussioni, sapori sudamericani, chitarra elettrica, un po' dalle parti di Santana e un po' del Fossati trentenne. Bel pezzo (nato a Cuba). Il protagonista è un immigrato, un arcangelo che annuncia sé stesso e il mondo che cambia, un altro "mio fratello che guarda il mondo" (qui il sottotitolo è: "la porta del mondo"). 
Il battito
Altra vetta. Parla delle parole, del comprimerle, sintetizzarle, semplificarle, tradirle, svuotarle. E quindi: "Parole incomprensibili/ Siano le benvenute/ Così affascinanti/Così consolanti/ Non è nemmeno umiliante/ Non capirle/ Anzi, così riposante". Intrigante il finale, con chitarre ed un suono pieno che il Fossati di dieci anni fa avrebbe certamente evitato. 
La cinese
Decisamente atipica per Fossati. Forse un antenato potrebbe essere La crisi, di tanti anni fa, che però era più seriosa. Qui siamo addirittura verso il cabarettistico, anzi verso il gaberiano. Mercati, finanza, compro, vendo, la paura dell'oriente. Musica ritmata. Pezzo riuscito, e non era semplice. 
Baci e saluti
L'atmosfera è più classicamente fossatiana, lenta, con una chitarra tranquilla a sostenere. C'è un'armonica (suonata da Fossati) e un testo dei più evocativi, ci sono pesci e una ragazza nuda ("Con quei fianchi perfetti/ Inganneresti/ Tutte le leggi di questo mondo") e del vino allungato con l'acqua di rose. Bella. 
Reunion
Lui, lei, un incontro a distanza di anni, un hammond non invadente, un ritmo scandito bene. Anche qui, sembra il Fossati di 25 anni fa, persino nell'uso della voce. Lei dice: "Ma io col mio sorriso non ci pago/ Più nemmeno il telefono/ E tu, non dici niente, tu?". Coda finale con fiati che fan battere il piedino.
Aspettare stanca
Sax a contrappuntare, medio tempo. Canzone ispirata, sinuosamente malinconica, di malinconia estiva. Bella l'idea delle frasi al telegrafo e di lui che se ne va, "Stanco tuoi segreti, miei peccati/ Tue creme, miei cassetti, tue canzoni/ profumo tuoi foulard/ Parto leggero come un autobus vuoto/Per una campagna, un mare, una montagna qualunque". Però lascia il nuovo indirizzo, e attende. Stop.
Pianissimo
Buona partitura, arrangiamento avvolgente, voce arrochita e allungata come lui sa, melodia lenta, ritmo più veloce. E un altro testo di amore pacificato. "Mai più nessuna/ Nostalgia": finisce così, il disco. C'è solo un po' di pianoforte a chiudere nel silenzio, poco a poco.
Enrico Deregibus
(da Kataweb.it, 3 febbraio 2006)


L'i
ntervista di Ernesto Assante

«Ho scelto di intitolare questo disco "L'Arcangelo" perché la canzone omonima parla di quello che credo sia l'avvenimento più grande al quale ci sia dato di assistere, le migrazioni di interi popoli, il fulcro attorno al quale girano e gireranno ancora le economie e le politiche delle nazioni. Per questo ho scelto per il brano una posizione centrale nel disco, perché tutto il resto gli ruotasse intorno, comprese le canzoni più ironiche, più divertenti e curiose». 
Ivano Fossati
torna con un nuovo disco decisamente politico. Non nel senso ovvio del termine, nessuna ideologia o appartenenza dichiarata a partiti o schieramenti, piuttosto vita quotidiana, con tutto quel che ne consegue. Si parla di guerra e di amore, di democrazia e di oriente, di omosessualità e libertà, si passa dall'esortazione civile di "Cara democrazia", il singolo che ha anticipato l'album (che, per esplicito desiderio di Fossati non diventerà come "La canzone popolare" un inno per la prossima campagna elettorale), alla globalizzazione raccontata in "La Cinese". Ma tutto è fatto in un modo straordinariamente semplice, senza proclami, senza slogan, in un album diviso in due parti, una più grintosa e forte, una più giocosa e leggera, dove la noia è bandita. 
"L'Arcangelo"
è un album di undici canzoni, curiosamente non omogenee dal punto di vista musicale, ma proprio per questo in grado di offrire un'immagine quanto mai veritiera del "viaggiatore" Fossati, che parla le mille lingue della musica da tanti anni. Un disco "mosso", a tratti amaro, ma al tempo stesso ironico e, se ci si passa un aggettivo particolarmente inadatto alla riservatezza di carattere di Fossati, "spigliato", in cui si passa dai ritmi caraibici al rock, dalle ballate agli echi del jazz, in un equilibrio splendido, dove parole e musica s'incontrano magicamente. Parole che sono e restano importanti, come Fossati ribadisce in una delle canzoni più esplicite dell'album, "II battito".
Fossati, com’è arrivato a questa chiarezza?
«Ognuno ha un suo percorso, io sono arrivato a questa nettezza attraverso percorsi disparati, passando per esperienze diverse. Ma so quando tutto questo è cominciato. Il disco del 2001, solo musica, niente parole, è stata la matrice. "Lampo viaggiatore" del 2003 era già in questo solco. Devo molto a quel disco, a quel momento, al black out delle parole che mi ha consentito una sorta di rinascita, mi ha dato la possibilità di cominciare da capo».
"L'Arcangelo" è un disco dai contenuti fortemente politici. Si parla di immigrazione, di omosessualità, di democrazia...
«Come potrebbe non essere politico? Io scrivo spinto da quello che vedo, scrivo sulle impressioni che ho, non c'è mai nulla di deciso a tavolino. Costruisco canzoni su quello che mi colpisce, che mi stimola, che m'incuriosisce, non so scrivere in un altro modo, da sempre. Il mio mestiere passa per l'immaginazione che filtra quello che è intorno. Quindi ovviamente c'è l'Italia, c'è quello che viviamo ogni giorno, ma quella che racconto non è una realtà italiana, non ha i confini di uno stato o di una lingua, è una realtà più vasta quella alla quale sto attento e che provo a raccontare con la mia musica».
E' un racconto che si sviluppa con testi molto chiari, diretti, concetti complessi espressi in maniera semplice.
«Non è stata una scelta progettuale, è qualcosa che faccio fatica a comprendere anche io. Anzi, a dire la verità io la percezione di quello che ho fatto ce l'ho avuta soltanto alla fine, soltanto quando il disco si è chiuso. Ci sono momenti in cui sì va più a fuoco, fotograficamente, occasioni come "La pianta del te", "Lindbergh", che sono particolarmente a fuoco, leggibili. Ci sono momenti come questi in cui non hai bisogno di sovrastrutture, tutto è chiaro, pulito, evidente, non ti viene di far diventare i testi ridondanti e questo rende tutto più immediato e comprensibile. Poi credo che ci sia in generale un desiderio di chiarezza, è il momento che lo chiede, e quindi provo a cascare nei desideri degli altri».
Toccare temi come questi non è facile...
«Io credo che conti molto il modo in cui le cose che si dicono sono contestualizzate. Il modo in cui le cose si dicono conta, la forma in questo caso è sostanza, il modo di dire da il senso alle cose che si dicono».
Cosa si aspetta da queste canzoni?
«Per me il compito è fatto, la domanda si esaurisce quando un disco è chiuso, mi interrogo finché il lavoro non è concluso, quando quello che mi aspettavo ce l'ho davanti. E poi ogni volta che si pubblica un disco questo esce in uno scenario completamente diverso, e oggi il mondo, rispetto a quello di tre anni fa, è davvero molto differente, di conseguenza mi limito ad avere una buona conoscenza di quello che ho fatto io. Voglio dire che mi interessa moltissimo che reazione creerà nel pubblico, ma non la prevedo, non la indago, attendo che arrivi».
Ci sono due canzoni che, in qualche modo, rappresentano il disco, il primo singolo, "Cara democrazia" e il brano che da il titolo all'album, "L'Arcangelo". Perché ha scelto proprio queste canzoni?
«Difendo "L'Arcangelo", i suoi temi, i suoi concetti, sono alti e ci toccano direttamente, il grande movimento del clandestino Gabriele che fugge via dal suo inferno di guerra, di sete e miseria. "Cara democrazia" si difende da se, solo dicendo sciocchezze se ne può travisare il significato, la si può distorcere. E' netta, chiara, solo chi è in malafede ne può dare un'interpretazione diversa da quella che si vede, si sente».
Ernesto Assante
(La Repubblica, 2 febbraio 2006)


Fossati: alla democrazia con amore
«Le canzoni servono anche a star tranquilli e a ballare, ma parlare di cose importanti in quattro minuti è una vera meraviglia»

Alla base di una piramide un uomo corre senza fermarsi. La copertina de L'arcangelo - l'album di Ivano Fossati in uscita domani in tutti i negozi - racchiude con il suo segno grafico netto e preciso riflessioni ed emozioni che tutti noi possiamo condividere. I richiami all'accoglienza e alla comprensione - nel testo de L'arcangelo Fossati riprende l'ampio respiro di un suo classico, Mio fratello che guarda il mondo - il grido d'allarme per il pericolo che incombe sulla democrazia, l'ironica visione della crescente forza economica cinese o una poetica e struggente storia d'amore tra due uomini, sono soltanto alcuni dei temi al centro di un disco che fin d'ora non esitiamo ad annoverare tra i più ispirati del cantautore genovese. Qualcuno dirà che L'arcangelo è troppo «schierato». A noi sembra, molto semplicemente, necessario.
La chitarra elettrica è tornata prepotentemente in scena dopo anni di silenzio.
Mi pareva che queste canzoni, e alcune in particolare, funzionassero meglio così. Mi sembrava che questa volta qualunque morbidezza sarebbe stata al posto sbagliato, perché si usano altri strumenti e altri arrangiamenti per cercare vie più complesse, come è accaduto in tanti altri miei dischi. Queste strumentazioni sono molto più immediate, molto più comprensibili. È curioso, ma aiutano la comprensione perché probabilmente fanno parte del suono di questo tempo. E poi, appunto, aiutano a incidere di più, a gridare di più, a scandire i concetti in maniera più netta. Tornare a impianti rock è un recupero di modalità che ho usato in passato e che mi sembravano più adatte a queste canzoni.
Alcune canzoni sembrano dettate da una grande urgenza creativa, come se fossero state scritte nelle ultime settimane, altre sono più classiche, di uno stile subito riconoscibile. In che ordine cronologico sono state scritte?
Cara democrazia è stata una delle prime. Per un lungo periodo ho cercato di scrivere e non c'era niente che mi interessasse abbastanza. Ho passato un periodo lungo e per me abbastanza anomalo, nel quale non sapevo bene che cosa avrei raccontato. Ma ogni album è un episodio, un pezzetto di vita. Io non riesco a scrivere qualsiasi cosa pur di preparare dieci canzoni per la mia casa discografica. Bisogna che veramente o mi innamori di qualche cosa o qualche cosa mi colpisca. Una delle chiavi che ha fatto partire il lavoro è stata proprio Cara democrazia, insieme a L'arcangelo  e ad altre canzoni.
Come è nata «Cara democrazia»?
Mi sono reso conto, leggendo anche la stampa internazionale, che c'è una preoccupazione in giro per il mondo. Quella dello svuotamento delle parole. Si fanno dei sensatissimi dibattiti tra persone serie, tra persone preoccupate, in Francia o in America, su questo svuotamento dall'interno della parola democrazia e della parola libertà. Sembra - e sottolineo sembra - che queste parole contengano meno di prima. C'è il timore che questi termini tanto sbandierati alla fine si riducano a un simulacro e poi contengano altro. Leggendo costantemente queste cose, mi è venuto in mente il testo. Mi sembrava naturale cantarlo, perché io sono di quelli che si preoccupano. È una questione sopranazionale e che lo sia la rende ancora più grave. A me hanno insegnato che la democrazia è una cosa precisa. Ha dei limiti, non è un sistema perfetto, ma sappiamo che fino ad oggi è il migliore che siamo riusciti a inventare. Ha una figura non perfetta, ma precisa. Da Atene a noi non è cambiata. La grande preoccupazione degli ultimi anni -non so quanti, almeno venti - è che l'economia cambi dall'interno le regole della democrazia. E siccome questo è l'unico ombrello cui possiamo aggrapparci, io, insieme a molti milioni di altre persone, credo che vada difesa con più attenzione. Cara democrazia parla di questo. È molto chiara.
Non capita spesso che in una canzone ci si rivolga a un'idea o a un concetto filosofico e politico.
Ma le canzoni servono a questo. Per carità, servono a tutto. Anche a stare tranquilli una sera e a ballare. È giusto che sia così. Però è una tale meraviglia poter dire in quattro minuti in maniera più o meno compiuta certe cose. È una tale meraviglia avere questa libertà, che le canzoni poi si rivelano un mezzo di comunicazione straordinario. Adesso noi stiamo parlando di questo argomento e di questo problema, partendo da una canzone. La canzone non è il dato più importante, ovviamente, ma è importante che noi ne parliamo e che qualcuno ne parli un po' più di prima.
Le canzoni più problematiche, da «Il battito» alla stessa «L'arcangelo», hanno un risvolto più solare, ironico e positivo in brani come «L'amore sa».
L'amore sa è soltanto una canzone d'amore ed è costruita sull'ultima frase. Io volevo dire che l'amore fa comprendere il perdono, però non sapevo come fare e ci sono arrivato pensando che era un concetto talmente alto che se lo dicevo subito sarebbe sembrato troppo presuntuoso. Ho cercato di arrivarci costruendo una scala a pioli. È una canzone di amore per tutti. Anche di amore per se stessi.
Senza semplificare troppo, si potrebbe dire che questo amore è il mezzo migliore per risanare la situazione angosciosa in cui ci stiamo dibattendo?
Lo stiamo dicendo da sempre. Stiamo ripetendo sempre le stesse cose con più o meno convinzione. Lo sappiamo bene quali sono i mezzi per arrivare a questo risanamento. Questa parola mi sembra perfetta, perché ragionevolmente, umanamente, non possiamo sperare di fare di più. È che i tempi si fanno difficili e la nostra forza deve aumentare, invece che diminuire. Ci meriteremmo con l'età di poterci rilassare un po' e invece non possiamo farlo. Dobbiamo per forza trovare nuove energie.
Giancarlo Susanna
(L’Unita’, 2 febbraio 2006)


Fossati: «Ho peccato di troppa politica»

Caro Ivano Fossati, nel suo nuovo disco di inediti «L'arcangelo», che esce domani, si parla di politica alta ma si sorride anche, cosa stranissima per lei. C'è la tensione del cittadino rispetto ai problemi collettivi, dalla guerra alle migrazioni bibliche; ma ci sono anche tante canzoni private, soprattutto sull’amore. Cos'è, politica dei sentimenti?
«Io credo nella politica dei sentimenti. E' necessaria. Tante volte ho anche sbagliato, scrivendo soltanto pensieri densi. Invece no: ci deve essere un'altalena, pensieri seri e poi sorrisi come qui. Ai sorrisi ero poco allenato, invece mi pare che la seconda parte del disco, sull'amore, aiuti i grandi temi della prima. Confesso che non è una regia fatta a tavolino, me ne sono accorto quando è stato montato il disco».
Si capisce che la «Canzone popolare», scelta dall'Ulivo per la vincente campagna elettorale del '96, deve aver colmato in lei la misura...
«E' importante distinguere fra stare dentro la politica ed esser cittadino consapevole. Non posso abbonarmi a quel ruolo, faccio un altro mestiere. In nessun momento ho avuto timore che si ripetesse il fenomeno; ho confidato nella comprensione di quelli che mi ascoltano. Questo disco non è schierato: "Cara Democrazia" è un'esortazione civile a pensare che termini come "libertà" e "democrazia" sono stati svuotati di significato».
E' cominciata la campagna elettorale. E' già esausto, come molti? Come la affronta?
«Con la massima attenzione. Che altro può fare un cittadino che deve andare a votare? Dobbiamo stare attenti alla superficialità, siamo poco educati a pensare che votiamo nel nostro interesse».
Andrà in tv a promuovere il disco?
«Domenica vado da Fazio, qualcos'altro stanno architettando i miei collaboratori, ma non molto. Le telecamere il più delle volte mi terrorizzano».
Sul filo dell'ironia, nell'«Arcangelo» c'è molta musica onomatopeica. Tanto rock, mai così tanto dai '70. La chitarra acustica che apre il disco in "Ho sognato una strada" evoca le canzoni di protesta pacifiste; musica latina sui temi dell'emigrazione globale dell'"Arcangelo", reggae per «La cinese» sull'economia globale.
«Sono felice delle mie musiche, anche se questo viene letto come un rientro nel rock... E una chiave è che questo album è stato scritto e realizzato in un tempo molto più breve del solito, tutto di getto. Gabriele, quest'immigrato da qualsiasi parte del mondo, lo chiamo "Arcangelo" perché lui è la notizia di se stesso, è come se dicesse: guardate, i tempi sono cambiati. Mi sembra importante capire il fenomeno, non associarlo al bene o al male. Ho cominciato a pensarla a Cuba, per questo è latina».
Per la sarcastica filastrocca sulla compravendita dell'oro nero, «La cinese», ha scelto il reggae.
«In giro per il mondo si fa questa musica, la trovo una meraviglia di novità. Il protagonista è un trafficone potente che ha paura; l'uomo potente che teme fa sempre ridere».
«Trucco il costo / taglio il tasso / Cala il prezzo...», lei canta del petrolio con conoscenza di dinamiche borsistiche.
«Un conto è seguire i temi con apprensione, l'altro interessarsene con questo senso della tragicomicità. Niente mi diverte come le cronache finanziarie ed economiche».
Il pezzo più complesso, come contenuti, è «Il battito», sulla superficialità imperante, sul trionfo dell'intuizione come surrogato allo studio.
«La sintesi estrema richiesta a chi di sintesi non è capace, quasi tutti noi, è di ridurre i pensieri a MP3. Anche nelle cose normali della vita ormai bisogna concentrare, e finisce che escono cose incomplete o scemenze. Sono ottimista e voglio pensare ci siano modi di affrancarsi, ma il sistema sarà individuale e privato».
E' delicata «Denny», sull'omosessualità. Ma il cinema, e le leggi in alcuni paesi, l'hanno superata, non c'è più scandalo e vergogna. C'è ancora bisogno del pudore che lei racconta?
«Magari la realtà è migliore del sogno di una canzone. Non ci sono solo le leggi, ma i sentimenti umani che spesso non si uniformano alle leggi. L'intenzione era che fosse delicata al punto da non aver bisogno di scomodare il termine "diverso" che non sopporto».
«L'amore fa comprendere il perdono, fa guerra agli idioti, agli arroganti pericolosi», canta lei. E' così ottimista?
«Non me lo impongo neanche più, mi viene. Invece di diventare più pessimista, per qualche verso miglioro. Canto d'amore non solo in senso amoroso: esser più aperti fa bene. Per molti anni ho resistito, mi son sentito più cinico. Ora non più».
Andrà in tour?
«Verso la fine di aprile, per un annetto circa. Ci vado volentieri perché rappresentare il suono di questo disco mi diverte. Quando salirò sul palco sarà come una prima volta».
Mariella Venegoni
(La Stampa, 2 febbraio 2006)


Fossati: «Canto l'amore gay»
«Sono coppie normali, che fanno la spesa e vanno in banca come tutti: ma sono costretti a nascondersi»

A sentirla nei primi due minuti sembra solo una storia d'amore forte, intensa, che non può essere rivelata. Ma all'apparire di un nome - «Denny» - si scatena l'evidenza: lui ama un lui. «Le coppie omosessuali vivono come tutte le altre, lavorano, hanno il conto in banca, fanno la spesa - spiega Ivano Fossati, autore del brano che fa parte del suo album «L'arcangelo» in uscita domani -. Sono persone profondamente calate nella normalità della vita, che spesso sono costrette a nascondere quello che hanno di migliore, ma che vorrebbero comunicare a tutti. Nascondere un amore è sempre fonte di dolore». Ma perché Ivano Fossati ha deciso per la prima volta di cimentarsi su questo tema? «Volevo capire se ero in grado di aggirare in qualche modo lo schema dell'amore diverso che ho sempre ritenuto abbastanza detestabile. Insomma volevo dedicare a quell'argomento una semplice canzone d'amore». Ma la diversità si respira, fin dal primo ritornello: «Nessuno sa e nessuno nemmeno capisce»... «Il disagio non è nella storia, ma è quello portato dall'esterno, da chi non è aperto, ha pregiudizi, crea inutili difficoltà. Il disagio è dover tener nascosto un sentimento legittimo e condivisibile».
Fossati nega di aver tratto ispirazione dalla recente polemica sulla tutela delle coppie di fatto. «Conosco la situazione narrata nella canzone per averla vista o sfiorata mille volte. Io volevo evitare nel brano qualsiasi aggancio che la rendesse "diversa". Nel capo di lui che fuma, non sa e non capisce, c'è qualche sprazzo di possibile realtà, ma anche la consapevolezza che all'esterno questo sentimento non sarebbe né capito né condiviso. Mentre la cosa più naturale sarebbe gridarlo al mondo visto che l'amore e il potersi mostrare felici è il bene supremo che alimenta la nostra ragione. Non poterlo fare è sofferenza mentale e fisica». «L'ho constatato viaggiando, leggendo, vivendo, cogliendo nella sensibilità di certe persone. Mi è sempre parso un tema molto delicato, quindi non mi ci sono mai avventurato perché non avevo trovato una chiave degna e abbastanza leggera ma nello stesso tempo chiara.» Incastonate in una situazione musicale complessa che ricorda il Fossati delle origini, il disco è popolato di molti altri diversi. «A cominciare dall'Arcangelo, che è un immigrato. Quest'uomo è l'Annunciazione di un tempo che cambia. Nel momento in cui mette piede su una costa qualsiasi del Sud Europa il suo atto ci fa capire che le cose non saranno mai più le stesse. Tanto vale prepararci a un futuro che non è quello che ci ha accompagnato per decenni.».
Altre canzoni dell'album sono molto legate al dibattito in corso sulla politica e sulla comunicazione: «Cara Democrazia», «La Cinese» (sull'economia globale), «Il battito». «Che - spiega Fossati - è dedicato all'estrema sintesi cui chi fa il mio mestiere è costretto. Ci viene richiesto di essere rapidi col pensiero e veloci con le parole. Ma non è giusto chiederci di essere maestri di sintesi 365 giorni all'anno. Di conseguenza se ci accontentiamo di segni e slogan anche il pensiero si restringe e diventa piccolo. Eccoci qua, tanti piccoli MP3».
Mario Luzzatto Fegiz
(Corriere della Sera, 2 febbraio 2006)


Fossati: «Il mio Arcangelo non è schierato»

Non è precisamente un invito all'ottimismo, questo di Ivano Fossati che nel disco più problematico della sua carriera racconta un mondo alla deriva, dice: «Se i grandi ottusi della Terra/ci trascinano a fondo/sarà che giorno dopo giorno/avrò sognato troppo a lungo». E parla di «democrazie pubblicitarie/democrazie allo stadio/democrazie quotate in borsa/fantademocrazie», che par di riudire il Gaber più caustico. Poi però c'è il parziale ottimismo della speranza, ed è l'equilibrio tra i due estremi a far grande quest'album dialettico, veemente, realistico. Che Ivano ha intitolato L'arcangelo, titolo anche del brano dedicato a Gabriele, immigrato giunto «da est/da tutti i confini del mondo/da tutte le guerre/da tutta la fame»: e allora «vento di sabbia che soffi in eterno/cancella i passi di questi figli/dall'inferno», invoca l'autore, riconoscendo alla speranza i suoi diritti.Perché qui sta la via d'uscita, in un disco così crudo che risulterebbe insostenibile - undici brani dopo tre anni di silenzio con la voce di Ivano, accesa da assillanti cupezze, e la produzione del figlio Claudio e di Pietro Cantarelli, di scattante e narrante asciuttezza - se l'intreccio pasoliniano di sdegno e preveggenza non s'aprisse a barbagli di fiducia, «quasi un invito a non perdere forza, sorriso e ironia», spiega Fossati. E ammette, certo, che «noi si chiedeva pace/ e si riceveva la guerra», ma è pur vero che «l'amore fa guerra agli idioti/ agli arroganti pericolosi/ fa bellissima la stanchezza».Sicché «cara democrazia/ritorna a casa che non è tardi»,è il messaggio che dirotta verso il futuro un presente devastato, e mette le ali all'album più «oggettivo» di questo grande artista: tant'è che L'arcangelo «non è un disco intimista perché non parla di me, racconta invece degli altri», puntualizza Ivano, «fuori però d'ogni militanza. Non un disco politico o di fazione, dunque, ma un'esortazione civile. È vero, nel '96 concessi all'Ulivo di suonare ai suoi raduni la mia Canzone popolare. Ma mi ci vollero anni per riappropriarmene psicologicamente, non posso abbonarmi a un ruolo del genere, faccio un altro mestiere». Anche perciò ci si riconosce in queste splendide nuove canzoni, «la cui chiarezza - dice l'autore - ne rende, spero, più nitido l'intreccio di grandi temi e piccole cose, di allarme e di gioco». Chiarezza che si estende all'icastica sobrietà delle musiche, «più ritmiche del solito, più inclini al rock. È vero, anni fa dissi che il rock è ormai finito, lo paragonai al cadavere del Cid Campeador legato al suo cavallo e mandato in battaglia.Ma ora mi contraddico: quando scrivo cerco di realizzare quello che sento in quel momento, senza fare troppi calcoli».Colpisce ancora, gli dico, la frequenza con cui ricorre il tema della diversità: da Denny, ritratto d'un amore omosessuale, alla via crucis dell'extracomunitario appunto in L'arcangelo, a La cinese che «non mi sorride mai/gira lo sguardo/dall'altro lato/lei muove continenti/carburanti/fondi metalli monete forti/banche mercati distanti». «È vero, ci troviamo di fronte a mondi che molti di noi non sono all'altezza di comprendere, e reagiamo con la conflittualità. Quando si cerca di risolvere gli attriti con le guerre, non si fa altro che dimostrare la nostra inadeguatezza. Anche per questo ho chiamato Gabriele, come l'arcangelo, l'immigrato protagonista dell'omonima canzone: è un annunciatore, ci porta qualcosa che facciamo fatica a capire ma che prima o poi dovremo comprendere, e accettare. Anche in La cinese è di scena il timore che abbiamo dei diversi: di quelli poveri e anche di quelli ricchi. L'avidità dell'economia globale si accompagna alla paura dell'Oriente, per quello che ha di incomprensibile. Ora, è proprio il fatto di reagire alla diversità con la paura, magari con la guerra, a renderci inadeguati. Ne usciremo? Mai rinunciare alla speranza».
Cesare G. Romana
(Il Giornale, 2 febbraio 2006)  


Ciò che la politica non dice
Tocca al cantautore Ivano Fossati parlare di immigrati, crisi della democrazia, Pacs e laicità. ''L'arcangelo'', il suo ultimo cd, è una salutare sferzata

Ma com'è strana l'Italia. Il nostro centrosinistra sta partendo per la campagna elettorale assestandosi su posizioni moderate, presuntamene ragionevoli, alla conquista del "centro" che dovrebbe essere l'ago della bilancia per mandare a casa Berlusconi (siamo reduci da un week-end in cui Rutelli ha garantito gli elettori che su Pacs e patrimoniale l'Unione non farà leggi; e da un lunedì in cui la Margherita ha presentato in pompa magna la candidatura di Domenico Fisichella, tra i fondatori di Alleanza nazionale, monarchico di fama, che ha deciso di cambiare casacca). Ed ecco, invece, che arriva d'improvviso un'artista, che non si occupa professionalmente di politica, e riesce a parlarci di quello che la politica non vede e di quello di cui la stessa politica non vuole parlare per calcolo o miopia.
E' compito degli artisti - direte voi - segnalarci quello che non riusciamo a capire da soli. Ma fa sempre un certo piacere sapere che ci sono persone libere e capaci di cogliere al volo, grazie alle proprie sensibilità, le inquietudini di un periodo. Stiamo parlando di Ivano Fossati, genovese (classe 1951), cantautore di mestiere, che proprio ieri ha mandato nei negozi il suo ultimo disco, "L'arcangelo". Ebbene, quando avrete il piacere di ascoltare questo cd, vi renderete conto che parole e musica raccontano proprio ciò di cui i partiti - anche quelli a noi più vicini e più cari - non si occupano e allontanano regolarmente dalla propria attenzione, quasi fosse un delitto di leso estremismo occuparsene.
Partiamo dal titolo del cd, "L'arcangelo". Per Fossati, il richiamo all'immagine dell'annuncio della nascita di Gesù Cristo (l'arcangelo Gabriele), cioè di un mondo nuovo, serve per dirci che gli arcangeli della contemporaneità sono gli immigrati, quelli che giungono nei paesi europei dall'America latina e dall'Africa nuotando e scappando da realtà disumane.
Vengono qui da noi a cercare una speranza e ad annunciarci che fuggono da fame, guerre, fango. Questi arcangeli ci dicono che le nostre certezze hanno bisogno di essere rivisitate, se non reinventate. Dove la politica parla freddamente di "quote", "flussi", "rimpatri", carcasse di imbarcazioni che arrivano ogni giorno a Lampedusa, ecco che un artista trasforma tutto questo in poetica musicale e con estrema libertà dice che dovremmo occuparci molto di più di quanto non facciamo proprio di questi arcangeli disarmati.
"Cara democrazia", con ritmo musicale veloce da chitarra elettrica, riesce a descriverci la crisi delle nostre società democratiche in modo assai più efficace di cento articoli di Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia e Massimo D'Alema. E' un grido sui pericoli che corre la nostra "fantademocrazia", ma è pure l'invito affinché questa stessa democrazia torni a casa perché, per quanto imperfetta, la democrazia è il modello politico più efficace di quelli che sono stati sperimentati dalla comunità umana. "Ahi che pessime orchestre / Che brutta musica sento / Qui si secca il fiore e il frutto", canta Fossati con l'auspicio che la democrazia alla fine torni a casa. Più che di una nuova Commissione Bicamerale sulle riforme istituzionali, avremmo proprio bisogno che la democrazia (partiti e istituzioni) si ricordasse - non solo una volta ogni cinque anni, quando è tempo di elezioni - che sono i cittadini a darle sangue e linfa. Ha ragione Fossati a cantare che se non diamo un altolà a tutto questo rischiamo di vivere in una "democrazia di mercato" e non politica.
"La cinese" ci invita a non avere paura dell'Oriente (leggi Cina e il protezionismo dei mercati). E' una canzone da far ascoltare al ministro dell'economia Tremonti e ai leghisti di Bossi. "Denny", invece, racconta una storia d'amore omosessuale dove il piccolo-grande dramma è di non poterla comunicare agli altri che forse non capiranno e tratteranno il protagonista, nella migliore delle ipotesi, come un "diverso". Anche qui, provate un po' voi a fare il confronto tra questa delicata canzone di Fossati e il rozzo dibattito tra  centrodestra e centrosinistra su Pacs sì-Pacs no-Pacs mai, tutto ispirato alla conquista della benedizione del cardinale Camillo Ruini e di Papa Ratzinger dimenticando che lo Stato laico è solo un'invenzione della cultura liberale.
Poi arriviamo ai temi del linguaggio, che devono naturalmente stare molto a cuore a Ivano Fossati che lavora sulla musica e sulle parole. In "Il battito" ecco che il cantautore genovese ci segnala che stiamo  comprimendo troppo il linguaggio nella smania di voler sintetizzare, quasi che dovessimo parlare tutti a colpi di e-mail e di internet. "Parole incomprensibili/siano le benvenute / Così affascinanti / Così consolanti", conclude con musica avvolgente che dà più forza al testo.
Non possiamo recensire tutte le canzoni di questo cd. Aggiungiamo solo che troverete belle canzoni d'amore (un altro cantautore genovese, Gino Paoli, dice giustamente che anche la descrizione di un amore può essere politica, dal momento che sono in gioco i sentimenti e il ruolo di uomini e donne), accanto ad altre più scanzonate. "Reunion", un accattivante "cha cha cha", è forse la testimonianza musicale del recente viaggio che Fossati ha fatto a Cuba, l'isola che ogni musicista dovrebbe visitare con l'orecchio attento a cogliere le nuove sonorità più moderne.
In conclusione, bisogna stare attenti a un'avvertenza. Ivano Fossati ha già messo le mani avanti: questa volta non presterà le sue canzoni alla politica, come avvenne nel 1996 quando il suo pezzo "La canzone  popolare" - forse complice il gusto musicale di Walter Veltroni - divenne l'inno che apriva e chiudeva le manifestazioni dell'Ulivo che avrebbe vinto le elezioni. Siamo d'accordo con lui. Un artista ha l'impegno civile come priorità, che poi significa essere cittadini partecipi dei problemi che assillano la società in cui si vive. Quanto alla politica, chissà che almeno le forze che si collocano a sinistra, prima o poi, non riescano a recuperare la propria capacità di ascolto rispetto a ciò che scuote la realtà che ci circonda. E non sarebbe male se questa stessa sinistra, almeno qualche volta, sapesse ascoltare anche le parole e le musiche di un cantautore. A volte le canzoni parlano di ciò che la politica non dice.
Aldo Garzia
(APRILE – il mensile, febbraio 2006)


La mia banda risuona il rock 

Che adrenalina! Nel lettore gira L'Arcangelo, nuovo album di Ivano Fossati. Eppure, più il disco va avanti più si avverte che qualcosa non va; un senso di dissonanza, da latente si fa sempre più palese e obbliga a riflettere, tenendo per un po' il disco sullo sfondo. Tra il 1977 (La casa del serpente) e il 1986 (700 giorni) Fossati pubblica sei bellissimi album, tranquillamente incorniciabili come lavori cantautorali con una certa propensione rock. Un modo di suonare rock e al tempo stesso di cantare poesia che, almeno in Italia, non si era soliti ascoltare. Emblema di questi nove anni è stato un brano, La mia banda suona il rock, che per decenni abbiamo visto torturare nelle peggiori compilation dei dj e nelle peggiori discoteche. Ma quei dischi hanno regalato tanti altri brani, ugualmente belli ma per fortuna non violentati. Anzi, se proprio qualcuno li ha violentati è stato lo stesso Fossati. Ma è stata una violenza docile, talmente bella e artistica da poter essere subita con estremo piacere. Una violenza che avveniva dal vivo e che camminava al fianco della sua nuova produzione, quella più radicale e sconvolgente che, iniziata nel 1988 (La pianta del tè) e conclusasi nel 2001 (Double life), ha lentamente consacrato l'artista genovese come sommo poeta e grandissimo musicista, capace di distaccarsi dalla faciloneria della musica commerciale (che comunque non gli è mai appartenuta) ed inoltrarsi in sonorità che oggi potremmo definire "progressive". 
Chi ha avuto il piacere di vedere Fossati in concerto ha toccato con mano quelli che lui stesso definiva "esperimenti dal vivo" in cui musica e testi confermavano quanto "il tutto" valga sempre più dell'insieme delle parti. Riguardo al suo passato artistico, Fossati ha chiarito benissimo la sua posizione: "Ho dovuto lottare per anni, anche con me stesso, sull'idea che l'impianto rock in realtà non appartiene alla nostra musica. E continuo a pensare che è sgradevole sentire il rock cantato in italiano: mi ha sempre fatto l'effetto di un film western doppiato in giapponese. (...) prendere in mano una chitarra elettrica in quegli anni (gli anni 70, ndr) significava andare in una precisa direzione". Questa posizione intellettuale è tanto profonda quanto dissonante con quanto ascoltiamo oggi ne L'Arcangelo che così, da sfondo ritorna ad essere figura. Sì, perché brani come Ho sognato una strada e Cara democrazia suonano proprio rock. E, dispiace dirlo, suonano anche male, per di più accompagnati da testi che per un diciottenne sono poesia, ma urlati da Fossati risultano un po' ridicoli.
Sarà che eravamo abituati a parole di ben altro spessore. E che lo voglia o meno, Ivano torna a patti col suo passato musicale: canzoni quali L'Arcangelo e La cinese sembrano usciti direttamente da vecchi album tipo La mia banda suona il rock o Panama e dintorni. Infatti le suddette canzoni sono molto belle, anche se il miglior Fossati de L'arcangelo sta tutto in un brano, Il battito che funge da punto di incontro tra tutti i suoi momenti artistici. Per il resto, il disco alterna piccole chicche leggere (Denny, L'amore fa) a grandi e lunghi momenti sconclusionati in cui davvero l'ascoltatore perde il filo perché di Fossati non c'è più nulla di vecchio ma nemmeno di nuovo. Il disco scivola tristemente in un finale insulso che ci lascia con un interrogativo: L'Arcangelo è l'inizio di un nuovo percorso oppure un mediocre capitolo di una eccellente carriera? 
Danilo Vittoria 
(da Giudizi Universali, febbraio 2006)


Ivano Fossati - L'Arcangelo 

Ivano Fossati fa musica da una vita ma non ha perso il gusto. Anzi, i suoi ultimi album sembrano tra i più ispirati e intriganti della lunga discografia, per quella capacità, affiorata nel tempo e pazientemente coltivata, di trovare il giusto equilibrio tra le cose da dire e il modo di farlo. 
Il Fossati giovane era ingenuo e sbilanciato, quello di mezzo spesso intorcolato; questo «della maturità», o come si vuole chiamare, ha un suo equilibrio basato sulla sottigliezza - parole nitide, precise, ben scandite, e una musica temperata fine che gioca con gli umori latini, rock o classico-europei che sono nel bagaglio. Vestita di poco, con cura però estrema: chitarre con le briglie tirate, ricami di elettronica, il piacere di un pianoforte educato o, meglio, un Hammond con il suo respiro caldo, la sua profondità. 
Così è il nuovo album. «Non un disco intimista - precisa lui - perché non parla del suo autore: racconta invece degli altri, dalla prima canzone all'ultima». Facciamo la penultima: perché quella che viene in fondo, Pianissimo, è invece propria una privatissima confessione d'amore alla sua donna. Anche Denny parla d'amore, un amore omosessuale raccontato con pudica semplicità («Un unico fotogramma, forse apertamente alla Ken Loach »); e L'amore fa, che potrebbe essere una nuova C'è tempo (il capolavoro dell'album scorso ) ma non ha quella passione, quel trasporto, quel coinvolgimento. 
C'è un pezzo forte e accentratore nel disco, Cara democrazia, «un'esortazione civile ad accorgersi che termini come libertà e democrazia sono sempre più, nel nostro occidente e in molte parti del mondo, abusati e svuotati progressivamente di significato, proprio da chi promette democrazia e libertà che sono sempre più di mercato» - bell'argomento e canzone riuscita, su onde mosse di chitarra rock. Sarà il faro del disco, anche se i Fossatiani di stretta osservanza preferiranno altri momenti più delicati, in penombra: come Il battito, per esempio, paradossale lamento su questo tempo di semplificazioni e segni vani.  
Riccardo Bertoncelli
(da delrock.it)

L'Arcangelo